Sulla moda delle psicoterapie del cambiamento

ripetereNegli ultimi anni, sia a livello mediatico che a livello editoriale, sembra che vada per la maggiore quella che si potrebbe chiamare una “psicologia del cambiamento”. Dobbiamo tutti cambiare, perché se cambieremo staremo in qualche modo “meglio”.

Sembra essersi istaurata una specie di moda, per la quale i vari approcci psicoterapici si “litigano” il ruolo di essere quello che fa “cambiare di più”. Escono con molta frequenza articoli e pubblicazioni che indicano il qual certo approccio psicoterapeutico come quello “migliore”.

Questo fenomeno è da ascriversi probabilmente anche al fattore “marketing”: il tentativo cioè di accaparrarsi più “clienti” e “fetta del marcato” possibile, nonché di essere eletti come “i migliori”.

Come spesso accade, quanto questioni economiche colludono con la scienza, è spesso la scienza ad uscirne sconfitta e a perdere la sua vera natura, che dovrebbe essere quella di comprendere i fenomeni, non di essere “vendibile” o di fare “marketing”.

Sotto un punto di vista epistemologico, infatti, si è perso di vista un punto importantissimo. Le persone, infatti, quando decidono di intraprendere un percorso psicoterapico, non lo fanno quasi mai effettivamente per cambiare. Bensì perché qualcosa è già cambiato, e perché non sanno come affrontare questo cambiamento.

Vecchi equilibri non funzionano più, cambiamenti nell’interiorità o nell’esteriorità della persona sono avvenuti, il vecchio assetto si è perso e non si riesce a crearne uno nuovo, a trovare un nuovo equilibrio del sistema persona che sia funzionale. E’, infatti, proprio a questo punto che compaiono i cosiddetti “sintomi” che altro non sono che l’espressione di un disadattamento al nuovo. Per questo motivo Jung, e se vogliamo anche lo stesso Freud, non erano nemici dei sintomi, non volevano combatterli ma li usavano come fossero amici, proprio per arrivare a comprendere quale fossero stati i problemi, in una certa fase della vita, di adattarsi a un cambiamento già avvenuto.

Un bravo analista dovrebbe forse essere maestro in questo, cioè nell’aiutare le persone ad adattarsi ai cambiamenti interni ed esterni che inevitabilmente avvengono nel corso della propria vita.

Questo non significa che la psicoterapia non possa essere promotrice del cambiamento, ma se si perde di vista questo elemento, cioè che le persone spesso chiedono aiuto ad un terapeuta non perché non sanno quali scelte fare, bensì perché le scelte le hanno già fatte, e non riescono a comprendere e ad accettarne i motivi, il rischio per il professionista è quello di vedere fallire le psicoterapie che segue, e di non apportare un contributo significativo in un momento di crisi della persona.

Personalmente reputo il marketing selvaggio che avviene nel campo della psicologia come molto poco scientifico, nonché anche disorientante nei confronti delle persone, che possono vedere lo psicologo come quello che “cambia” gli altri, vivendolo in modo manipolatorio.

@DottorSaita #psicologo #roma

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